"...La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.art."
Dopo l’8 settembre, i drusi furono padroni dell’Istria per un lungo periodo, durante il quale scomparvero alcune migliaia di persone. I luoghi della sparizione saranno rivelati alcuni decenni più tardi, dopo il crollo del Muro.
Saranno indicati pubblicamente, sui giornali. Ma da sempre gli abitanti dei dintorni li conoscevano, anche se non ne avevano mai parlato con nessuno. I contadini li avevano individuati subito, uno per uno, a causa dei lamenti che provenivano dalle fenditure rocciose. Raccontarono che a lungo avevano sentito provenire dalle viscere della terra richiami e invocazioni d’aiuto; i gemiti della troppo lunga agonia di coloro che erano rimansti vivi e anelavano ancora alla vita pur nel terrore della fine certa, terrore che si concludeva con il rantolo della morte.
...Erano schierati sul bordo sinistro del buso de la volpe, un nero abisso dove non potevano penetrare né il sole né l’occhio umano.
Bene, fra pochissimo sarà tutto finito, pensò zio Aurelio sentendo un rigurgito salirgli su dalle viscere. Guardò dentro la foiba senza veder niente. Gli infoibatori si tirarono indietro e quando lui udì il loro urlaccio di guerra, cogliendoli di sorpresa si buttò subito dentro, come se quella foiba rappresentasse per lui la salvezza. Tutti volarono giù, qualcuno falciato “per gioco” dal mitra, anche l’ufficiale italiano che non si decideva e stava piegato in avanti, come per contrastare un vento inesistente-qualsiasi essere cerca di resistere- con i piedi che avevano trovato un appiglio ai rovi e ai testardi germogli di quercia che spuntano dalle fessure e sui costoni della roccia alonati da vapori.
Dopo un volo infinito di quindici o venti metri accompagnato dalle urla di dolore per gli schianti contro le rocce, lo zio piombò nell’acqua cinerea dopo aver sbattuto la faccia contro uno sperone. Quando tornò in sé, lassù albeggiava, lui perdeva sangue dalla bocca e la mandibola gli ciondolava come un morso. Teso e muto, riuscì a liberare le mani e a remigare verso l’alto, aggrappandosi a quella che credeva una zolla, dell’erba, ma presto capì che era la testa di un uomo che rantolava aiuto, allora l’afferrò, la tirò a sé, il terremoto nel cuore e una furibonda volontà di non mollare, e cominciò a risalire verso quel dito di luce lassù. Quando raggiunse l’orlo del precipizio, un lontano frinire di grilli cessò di colpo."
Tratto da
BORA di Anna Maria Mori e Nelida Milani.Pola, Istria: nel racconto di due donne gli italiani che rimasero, gli italiani che partirono.